Non si può vivere da malati per morire sani.
Sarebbe bello se la vecchiaia fosse l'apice della vita, no?
Doveva succedere, quindi è successo. Con cadenza anche abbastanza regolare, il che ha solo accentuato la mia preoccupazione: ho trovato due peli bianchi nella barba.
Il 1° giugno ho fatto 28 anni, un compleanno che boh si, non è particolarmente speciale come numerica: non è cifra tonda, non è legato a particolari riti... è un po' il secondo anno del triennio alle superiori: è li, ti serve per passare dal primo al terzo, ma a parte quello te lo dimentichi. Anzi peggio: il secondo anno si distingue perché non è ne il primo, ne il terzo; 28 anni - invece - sono praticamente uguali ai 27, quindi proprio specialità zero come numero.
Classismo sui numeri a parte, la settimana dopo (quindi settimana 22 per chi, come me, trova estremamente comodo chiamare le settimane coi numeri invece che con quegli astrusi metodi "lasettimanacheiniziaconlunedi35" o "lasettimanadel12", ma il 12 de che? la settimana 22 non si sbaglia, è quella. Va beh, farò un numero sul calendario da 13 mesi così do sfogo al mio astio verso il calendario gregoriano) trovo un infame pelo bianco nella barba. Anzi lo trova il mio ragazzo mentre eravamo a fare aperitivo con amici, quindi si vedeva proprio bene. Decido di strapparlo, non c'è teoria sui 7 capelli bianchi che tenga.
Settimana 23 mi porta lo stesso dono: altro pelo bianco. Bisognava fermare il trend: ho tagliato tutta la barba.
Succo della questione: parliamo di invecchiamento.
TL;DR
Perché? Invecchiamo perché consumiamo i telomeri, la parte finale dei cromosomi. Quando son finiti le cellule non si riproducono più e inizia l'invecchiamento cellulare
Invecchiamo ancora perché c'è un bel paradosso tra l'invecchiamento e la selezione naturale, dovuto alla fase di maturità riproduttiva.
Non invecchiamo come siamo sempre invecchiati e non invecchiamo tutti allo stesso modo. Roberto Vecchioni.
Possiamo invecchiare meglio? Si. Cibo, esercizio, stress.
Sarebbe bello se la vecchiaia fosse l'apice della vita, no?
I. Prima di tutto: perché invecchiamo?

Vi presento Elizabeth Helen Blackburn, che nel 2009 ha vinto il premio nobel per la medicina per il suo studio sui telomeri e come proteggono i cromosomi.
Questa bellissima grafica mostra che i telomeri (dal greco τέλος, télos = fine + μέρος, méros = parte) sono la parte finale dei cromosomi. Il cromosoma è una lunga sequenza di DNA, di cui i telomeri sono la parte finale, che protegge tutto il resto della sequenza.
Come ci hanno insegnato le lezioni di biologia puntate di Esplorando il corpo umano (questa la puntata sulla vaccinazione che in questo periodo non guasta), le cellule si riproducono per mitosi, durante la quale avviene la riproduzione del DNA. Ogni volta che la cellula si riproduce, i telomeri vengono leggermente erosi, fino a quando - una volta erosi completamente - si interrompe la riproduzione cellulare e via libera all'invecchiamento.
Blackburn e colleghi hanno anche scoperto un enzima, la telomerasi, che ha effetti ricostruttivi sui telomeri e - negli anni - hanno poi fatto studi su come possiamo agire sulla produzione della telomerasi e quindi rallentare l'invecchiamento. Fermi tutti, non correte a chiedere allo spaccino di fornirvi dosi a vita di telomerasi: ad ora non esiste un sistema per sintetizzarlo, anche perchè le uniche cellule che non smettono mai di riprodursi sono quelle cancerogene, quindi anche no, grazie.
Cosa, invece, si può fare? Esercizio fisico e mangiare bene. Chi l'avrebbe mai detto? Poi ci torniamo.
Per ora, dopo aver riassunto in 3 righe piene di banalizzazioni e imprecisioni il lavoro scientifico che ha occupato anni della vita della dott.ssa Blackburn e che le ha fatto vincere un nobel, possiamo passare ad altro. Scusa Beth, tvb.
II. Ma nel 2021 siamo ancora qua a invecchiare? Non è ora di andare oltre?
Sembra una domanda demente, della serie "'a grullo, non sto mica qua a invecchia pecché me garba!". E in effetti l'amico immaginario con la pessima imitazione di un accento toscano ha ragione: non invecchiamo mica per scelta.
Ma se guardiamo la cosa da una prospettiva evoluzionistica, non avremmo dovuto smettere di invecchiare, o almeno invecchiare meglio? Se la selezione naturale è un processo che porta al miglioramento della specie, perché per l'invecchiamento non funziona?
Questo è un simpatico paradosso che gli studiosi chiamano selection shadow, che si potrebbe tradurre come "zona d'ombra di selezione".

Detta - al solito - in soldoni, succede che se un individuo presenta delle "inefficienze" (gazzella lenta che viene mangiata dal leone, giraffa col collo corto che non arriva alle foglie) farà più fatica a vivere abbastanza a lungo da riprodursi. Se, però, le inefficienze di uno specifico organismo emergono dopo la maturità - e quindi dopo l'accoppiamento - il suo corredo genetico è stato ormai passato alla generazione successiva. #fuckyoudarwin
Come si vede nel grafico, la zona d'ombra è tutta quella parte che sta dopo la maturità dell'organismo, in cui la selezione naturale è meno forte (rappresentata dalla linea nera che decresce). Questo è vero sia per la vecchiaia che per altre inefficienze, come ad esempio chi vota forza nuova: ci si può riprodurre biologicamente dall'adolescenza ma votare solo dai 18 anni, quando ormai potrebbero aver gia messo al mondo tanti piccoli forzanovisti.
III. Perché invecchiamo cosi
Un altro aspetto dell'invecchiamento è il modo in cui invecchiamo. Di sicuro avrete sentito parlare di alcuni parti del mondo i cui abitanti vivono per cento e pù anni, di solito la più gettonata è una zona in Giappone di cui nessuno ricorda mai il nome.
Quella di cui so io è una piccola valle in Ecuador, che ho conosciuto tramite un libro pallosissimo che si chiama "Eterna giovinezza. Vivere 120 anni" in cui Ricardo Coler parla di questa valle con un numero esagerato di ultracentenari, che si comportano all'opposto di come ci si aspetterebbe: fumano come delle ciminiere, bevono alcolici che noi considereremmo tossici e lavorano fino al giorno della morte. Resta quindi un mistero del perché queste persone vivano cosi a lungo, oppure, se nel libro l'ha scritto, me lo sono perso. Come dicevo, non l'ho trovato particolarmente ben scritto.
Ma per chi non vive in Ecuador cosa succede? Clayton Dalton ne parla in questo articolo su Aeon che apre con una storia che a me ricorda una meravigliosa puntata dei Simpson sulla lucertola boliviana.
La storia di cui parla Dalton, invece, è quella dei conigli importati in Nuova Zelanda negli anni '30 del 1800, per essere cacciati e mangiati. Il problema è che, senza i loro predatori naturali, i conigli sono diventati infestanti, fino a che si è dovuti intervenire con dei furetti che cacciassero i conigli, con il problema che i furetti hanno fatto un po' il cazzo che volevano e hanno cacciato anche altre specie animali come i kiwi.
Il paragone che fa è quello con le malattie e i medicinali: malattie = conigli, medicinali = furetti. L'ecosistema naturale è l'equilibrio del nostro corpo che viene da una parte curato dai furetti e dall'altra non si sa bene che effetti abbiano tutti i furetti in uno schema di insieme. (NON STO DICENDO DI NON CURARVI O DI PASSARE ALL'OMEOPATIA, L'OMEOPATIA É UNA TRUFFA).
Il secondo passaggio interessante è - di nuovo - in ottica evoluzionistica. Ciclicamente emerge il fatto che la vita si allunghi sempre di più con il passare degli anni, che è vero, ma da un punto di vista statistico: è la vita media che si allunga, non quella dei singoli individui. Dalton fa notare che se si escludono le innumerevoli morti infantili e premature, la vita dei nomadi cacciatori-raccoglitori poteva arrivare anche a 78 anni. Come ci arrivavano loro senza la medicina moderna? Semplice, gli mancavano 3 cose: cibi ultraprocessati, sedentarietà e stress. Guarda caso, cose che abbiamo gia visto avere effetti sui telomeri. Fico, no?
IV. Come possiamo invecchiare meglio?
Oltre a non mangiare più pringles, comprarsi una standing desk e ignorare tutte le email e scadenze, cosa si può fare?
Questo articolo di TED elenca una serie di rimedi, di cui ve cito un paio:
Quello per me più interessante è la "macchina del tempo": un esperimento in cui hanno messo un gruppo di 70enni in un ambiente che replicava la loro vita di 50enni, con foto di loro più giovani, libri d'epoca e dispositivi elettronici vecchi di 20 anni, e chiedendogli di parlare di notizie di 20 anni prima come se fossero presenti. Alla fine dell'esperimento camminavano tutti più eretti e si sono anche messi a giocare una partitella di rugby touch (= senza placcaggi) mentre aspettavano il pullman di ritorno (all'inizio alcuni camminavano con il bastone).
Mantenersi attivi. Questa è anche abbastanza scontata, ma sono anche noti gli effetti che hanno diverse case di riposo sui propri pazienti: quelle in cui gli anziani sono invitati a restare autonomi e autogestirsi hanno una popolazione di residenti che resta più sana, mentre quelle in cui vengono accuditi come dei neonati portano i residenti a perdere capacità più velocemente (questo è legato a un sistema di efficientamento del cervello, che tende ad eliminare quello che gli è inutile, come ricordi a cui non pensiamo mai o capacità motorie che non utilizziamo). (NB: case di riposo, non case di cura.)
Stare al passo con la tecnologia, che è più che altro un consiglio: non aspettare di essere rimasti troppo indietro e poi cercare di colmare la distanza, ma aggiornarsi pian piano con i vari avanzamenti.
Infine ci sono una serie di stimolazioni che l'autrice cita, dal cercare situazioni che ci facciano stupire, all'immergersi in un ambiente stimolante sia da un punto di vista culturale che fisico.
V. Sarebbe bello se la vecchiaia fosse l'apice della vita, no?
Alla fine, dopo tutto questo lunghissimo discorso, arriviamo al punto che volevo davvero trattare e su cui rifletto da un po': ma se riuscissimo a fare tutte queste belle cose, a "invecchiare con grazia", a ridurre la medicalizzazione dell'anzianità, a togliere lo stigma sociale dal concetto di vecchio, riusciremmo a rendere la pensione e la vecchiaia come l'apice della vita?
Sarebbe bello, no? Pensate come sarebbe vivere costantemente sapendo che il meglio deve arrivare, invece di temere la vecchiaia. Pensate che cambio di mentalità sarebbe nella vita di tutti i giorni.
Per come sono le cose ora, gli anni migliori della vita li passiamo al lavoro o a scuola. Il meglio della nostra forma fisica e della nostra prontezza mentale vengono messe al servizio di cose di cui ci interessa solo finchè ci pagano uno stipendio (datemi del cinico quanto volete, ma se domani il vostro capo vi dicesse che non vi paga più lo stipendio nessuno di voi manderebbe più una singola mail).
Di conseguenza, incastriamo viaggi, esperienze, riempiamo ogni spazio disponibile di corsi, cene, aperitivi, film da vedere, libri da leggere, presto presto prima che scada il tempo, prima che mi rimbambisca.
Calma.
Se trovassimo una routine che ci faccia invecchiare meglio, che riduca il carico di stress che ci deteriora, se smettessimo di pensare agli anziani come a un peso*, di rafforzare lo stigma sociale dell'anzianità, non avremmo più modo e più tempo di fare tutto? Non ci godremmo meglio gli anni della pensione (per chi ci arriverà)?
[*In questo periodo l'abbiamo pensato tutti almeno una volta. Volete sapere quando? Eravate al supermercato o sul marciapiede e vi è passato di fianco quel vecchietto indisponente che la mascherina non sapeva manco dove andarla a comprare, o che la teneva sul mento o sul braccio, incastrata tra una piega di pelle e l'altra. Sono sicuro che in quel momento avete pensato "minchia, ma il mondo è fermo per salvare te. Mettiti quella stracazzo di mascherina."]

E poi c'è quella frase che influencer e pubblicità ci hanno reso orrendamente banale: "la vita non si misura in anni, ma in attimi"... una delle tante cose rovinate dal capitalismo, che però non è per questo meno vera.
Un mio professore, tale Avallone, a lezione ci raccontò l'aneddoto di questo vecchietto che era da solo in un parco lontano da casa quand'ebbe un malore. Una donna lo soccorse e - una volta messolo in salvo - lo rimproverò perché era stato imprudente ad andarsene in giro da solo, lontano da casa, col caldo e l'ISIS e il cambiamento climatico e Renzi che fa da consulente agli emiri che ammazzano i giornalisti. E lui le rispose "cosa ci sto a fare a casa? Se vado in giro e mi succede qualcosa, un'anima buona che mi aiuta la trovo".
Questa storia non è probabilmente neanche vera, e per i miei gusti va un po' troppo nella direzione dell'assistenzialismo, però il vecchietto ha anche ragione: chi ha voglia di stare a casa quando non devi lavorare, non devi fare niente ma puoi fare tutto? Esci, drogati, ubriacati, vai ai concerti, gioca a carte, fuma, fai quello che ti pare. Un amico di famiglia - tra le altre cose un prete - quando veniva a cena e mia mamma gli diceva che per lui sarebbe stato meglio non mangiare una cosa che lui proprio voleva mangiare, ripeteva immancabilmente "non si può vivere da malati per morire sani".
Ecco.
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