Non torna chi non va via.
Tornare è meglio nei giorni di festa. Ti da una scusa, fissa una data in calendari sempre pieni. Sai che tutti sono già li, in strada. Li trovi già contenti e tu ti dici che lo sono un po’ anche perché vedono te dopo tanto tempo.
Sa di amici che ti aspettano per pranzo, tu sei in ritardo ma loro non capiscono la tua ansia. Vivono a una velocità diversa, a una velocità migliore verrebbe da dire. Qua è tutto a caso: quando arrivate, arrivate. Tranquillo. E allora stai tranquillo.
Altri amici li incontri tra le bancarelle, fai a gara su chi ha più piante in casa, nelle nostre case, da grandi. Ti dichiari sconfitto perché sui numeri non c’è gara, ma ti consoli perché le tue sono più grandi. Ti ricordano la parte bella dei social network, perché io ti seguo su Instagram quindi so che stai bene e sei felice, quindi son contenta.
Ti senti in colpa perché alcune persone non le vedi da talmente tanto che il nome è sbiadito, un’eco. Però ricordi i momenti belli, l’affetto, e allora non le chiami per nome per non sbagliare, ferirle ingiustamente.
Scopri poi che altri amici erano li, in un altro punto del corso ma non vi siete incrociati. Peccato. Sarà per la prossima, ti dici.
Tornare sa di volontariato al cinema della parrocchia, che facevi il martedì sera per avere una scusa per uscire, per guardare i film senza pagare il biglietto, anche se il film poi non lo vedevi perché passavi tutto il tempo a parlare con gli amici che facevi entrare dal retro a proiezione iniziata. Sai chi ha litigato? Ma a te Giulia piace? Andrai in università? Boh non lo so a studiare cosa, poi vedo.
Tornare sapendo che tutto quello che volevi nella vita ce l’hai. Rivedi gli spazi, le persone. A Milano non li hai mai ritrovati cosi, forse non li hai mai cercati perché sapevi dove li avresti trovati, nel caso. Hai tutto perché tuo marito è con te, accanto. Gli presenti i conoscenti, gli amici, i genitori degli amici. Ti fermano alle bancarelle. Lui non si ricorderà manco un nome, ma non demorde.
Tornare è mangiare il gelato di quando eri ragazzino. Pesante, carico, buonissimo perché quello è il gelato. Dopo 20 anni stanno sperimentando un nuovo gusto: non si è ancora guadagnato la dignità di un cartellino stampato, ne ha uno scritto a mano, male. Un cono costa il doppio di quando eri ragazzino, ma ti sembra comunque regalato. Sarà che a Milano il gelato è esclusivamente bio, artigianale, fatto a mano, con filiera controllata e super-premium: il pistacchio è salato e di Bronte, le nocciole di Alba, il cioccolato di Modica. Sarà che quando mangiavi il gelato da ragazzino non avevi lo stipendio, e tutto ti sembrava costare tanto. Comunque hanno anche messo un nuovo quadro vicino alla cassa. Brutto.
Capita che vedi da lontano gli stronzi che non avresti mai voluto nella tua vita. Li conosci perché un’assegnazione casuale vi ha messo in classe assieme. Godi di una gioia infantile: loro non ti salutano, ma anche tu non saluti loro. Trattati come gli sconosciuti che si meritano di essere. Piccola rivincita. Nella tua vita, adesso, non ci sono.
Passi davanti alla cartoleria dove compravi i libri di scuola. Atlante di storia, sussidiario di scienze. La mia prima antologia. Prima e ultima. Brividi di fastidio lungo la schiena, prudono le mani a pensare ai dementi che si inventano questi nomi finti e tremendi per gli strumenti di tortura di quel purgatorio eterno che è la scuola dell’obbligo.
Tornare a casa è tornare un po’ indietro. Non è proprio passato, ma di certo non sa di presente; d’altra parte è lo spazio dove il tuo futuro ancora doveva succedere, e poteva essere tutto. Tu non volevi qui il tuo presente, ma ti chiedi se sbagliavi. In amarcord c’è tanto amaro, quasi tutto tranne la o. Qui c’è il futuro dei tuoi amici, ma non il tuo. Un po’ vorresti essere parte del corso di sommelier a cui si sono iscritti tutti, ma sai che tra una festa e l’altra ci sono giorni lunghi, lenti, vuoti.
Allora ogni tanto ti fai vedere, torni eh?
Beh quando si mangia e si beve ci siamo sempre!
Almeno una volta l’anno succede qualcosa in ‘sto paese.
Poi ci sono i ritorni in famiglia.
Tornare da tua mamma, che per lei è sempre festa. Non te lo dice, ma a tavola è sempre Natale, contenta di vederti anche quando torni a casa la domenica pomeriggio e la svegli dal pisolino. Ma va, non stavo dormendo. Bugiarda.
Tornare da papà, che le lascia dimostrare tutto in cucina e scende le scale per stappare il vino buono. Anche perché non ce n’è di vino cattivo in cantina. Tu sai che è vero, ma sai anche che quella bottiglia è più buona delle altre.
Vuoi un pezzo di grana? Lo mangiate l’arrosto domani? Guai andare via a mani vuote.
Sa di frutta buona, verdura fresca dell’orto. Delle mozzarelle portate dagli zii che tornano da Napoli, di funghi raccolti dallo zio. Lui non sai da dove torna perché non ti dice dove trova i porcini, ma sono comunque ottimi nel risotto la domenica.
Tornare dai viaggi con le calamite per la nonna che non sa più dove metterle che il frigo è pieno, ma gliele porti comunque, e lei è comunque felice.
E allora continui a tornare.