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Non ci sono più i ______ di una volta
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Non ci sono più i ______ di una volta

Daniele Selmi
Sep 12, 2021
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Non ci sono più i ______ di una volta
Attenzione: contenuto ad alto livello boomeristico; se ne sconsiglia la lettura ai soggetti più fragili.
Non ci sono più i ______ di una volta

Oggi si inizia col botto boomer.

Pronti?

Occhio eh:

"Non ci son più i giovani di una volta!"

Non ci sono più i ______ di una volta

Scherzi a parte: se fosse vero? Ma andiamo per passi, cosi vi spiego cosa intendo (un po' su tutti, non solo i giovani).

Ultimamente mi capita di parlare con miei coetanei e c'è un tema ricorrente, molto ricorrente: il cov

paura eh?

I. Fuck My Life

La questione che torna spesso ultimamente, viene magistralmente riassunta da quei maestri di pigrizia che sono gli americani con uno degli infini acronimi nati su internet: FML, Fuck My Life. Noi di italiche origini diciamo "che merda la vita", che di solito è solo uno dei tanti modi di lamentarsi di ogni minimo fastidio (qui ci torniamo) senza nessun significato letterale, un po' come quella cosa di desiderare di essere investiti dai propri idoli (si).

goodnight i want timothee chalamet to run me over with a car

— del (@del_graves) January 6, 2018

Invece, quello che sto notando recentemente è che questa lamentela viene fatta con toni (ciao Tony!) molto meno da frase-fatta e molto più no-davvero-basta-che-palle. Fondamentalmente il lavoro non piace e ci si chiede perché si dovrebbero buttare 8+ ore al giorno a fare cose di cui non si vede il senso, l'interesse o entrambi. "Voglio fare qualcosa di mio" è un must, ma anche "boh qualcosa che non mi costringa a stare in ufficio" o "qualcosa che abbia un senso" vanno forte.

Ora c'è da fare un passaggio un po' meta e chiedersi se è un fenomeno legato all'età di chi dice queste frasi o all'epoca; come ho detto sono discorsi che mi capita di fare con coetanei, il che vuol dire che è un gruppo decisamente omogeneo: bianchi, laureati, benestanti, occidentali, che vivono in grandi città (o li vicino) e che fanno un lavoro d'ufficio (o quasi). Speravate di non essere più catalogati tramite delle generalizzazioni di massima oroscopo-style? Upsy

(Ovviamente ci sono anche delle differenze, solitamente di genere e orientamento sessuale, che a mio avviso hanno un basso impatto - se non nullo - nel determinare il livello di FML)

Per questa omogeneità, finisce che abbiamo in comune anche il fatto di esserci ormai laureati da... ... ... ..più anni di quelli che ci piace ammettere e che la curva di apprendimento al lavoro ha iniziato ad appiattirsi da qualche anno, trasformando i rispettivi lavori dall'iniziale adrenalinico ok-non-so-fare-nulla-di-tutto-questo-fallirò-miseramente-e-farò-una-colossale-figura-di-merda-ma-almeno-ho-uno-stipendio in una routine grigia e deprimente in cui poco o nulla ci emoziona e ogni email è una manciata di terra buttata prematuramente sulla nostra tomba. #tetro

Non ci sono più i ______ di una volta

Forse è stato cosi anche per le altre generazioni (che è deprimente da un punto di vista evoluzionistico e rassicurante da un punto di vista di sopravvivenza), ma - come ci hanno mostrato i già nominati americani - la pandemia ha avuto un effetto anche su questo, scatenando il fenomeno dei licenziamenti di massa (milioni di americani hanno detto "fuck you Karen I'm out" dopo l'anno in pandemia) quindi c'è almeno un (1) effetto esogeno all'aspetto generazionale (e io credo ce ne sia più di uno).

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II. Non ci son più i clienti di una volta

Pensate a come ormai funzionano tutti i servizi, prodotti e piattaforme di maggior successo, su cosa si concentrano, le parole chiave che ormai sono onnipresenti sulla bocca di consulenti, marketers, professori e sparse sopra ogni frase come il sale su una certa bistecca: customer centricity, rimozione dei pain points, seamless experience, one-click, hassle free, contrasto della frustrazione causata dal ritardo nella gratificazione dovuto ai tempi di consegna nell'online shopping.

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Era una bistecca? Non mi ricordo più

Si, il "contrastare la frustrazione causata dal ritardo nella gratificazione dovuto ai tempi di consegna nell'online shopping" è una cosa vera e non me lo sono inventato: scritto senza le doppie negazioni e le subordinate convolute significa che quando un consumatore compra in negozio fisico ha nello stesso istante una sensazione di dolore legata al pagamento (ci sono studi che dimostrano l'attivazione dei centri del dolore nel momento in cui paghiamo, più accentuati se usiamo contanti, meno con carta di credito - fateci caso) e una sensazione di gratifica dovuta al fatto che ce ne andiamo dal negozio con un nuovo paio di scarpe. Se lo stesso acquisto lo facciamo online dobbiamo aspettare qualche giorno per metterci le scarpe, il che è un ritardo nel lato gratificante dell'acquisto, il che causa frustrazioni, il che ha un impatto negativo nella customer experience, il che può causare un minor acquisto in futuro, il che diminuisce il valore del cliente, eccetera eccetera...

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Steve Jobs pensava ai prodotti Apple come a prodotti che non avessero bisogno dei libretti di istruzioni; Amazon funziona (anche) grazie ai suoi meccanismi di acquisto in un click (pensate al fatto di non dover inserire la carta di credito o l'indirizzo quando comprate un libro; l'altra sera ho bruciato una padella - si - e l'ho ricomprata in meno di 30 secondi su amazon, arriva domani), alle sue delivery in 1 giorno e ai resi senza costi, seguita a ruota da Zalando, Asos e qualunque e-commerce degno di questo nome; gli amici di Netflix si sono accorti che le persone perdevano troppo tempo a decidere cosa guardare e hanno messo un pulsante che ti mostra contenuti random (pulsante? Tasto? Bah).

Qualche settimana fa ho scoperto l'ennesima app - Lucid - che, per la modica cifra di 7,50€ al mese - offre un catalogo di libri riassunti e proposti in forma grafica, cosi come Blinkist riassume libri in formato audio. (Una nota agli sviluppatori di Lucid: tutto questo sforzo per fare le grafiche dei libri, ma un logo un po' più bellino no?).

Fermandoci un attimo a rifletterci, il contenuto di questi libri (che sono nella quasi totalità dei casi non-fiction) passa dall'essere conoscenza dello scrittore, che studia, ricerca, scrive, rilegge, corregge per settimane e mesi producendo un libro che trasmetta tutta la sua conoscenza in un modo migliore possibile, viene letto, riletto, corretto, adattato, tradotto (se va bene) anche da altre n persone, e viene poi ripreso dal team di Lucid, spogliato di tutte quelle parti considerate di poco valore, trasportato in forma grafica, caricato su un'app e presentato a noi lettori pigri che non abbiamo più la voglia (o la forza) di leggere una riga di troppo.

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Il povero scrittore che vede i suoi sforzi buttati alle ortiche

Non posso che apprezzare l'incredibile dicotomia edonistica (wow) di questo modello di business che da un lato si sforza di ridurre ogni sforzo, ogni barriera tra noi e il contenuto, spreme per noi il succo e ci lascia solo il compito di assaporarlo, ma al contempo rimuove il gusto di leggere un libro, apprezzare le parole scelte e tradotte con (più o meno) cura, e riduce tutto questo a un mero processo di qualche minuto fatto solo per ottenere un qualcosa alla fine. Il piacere è nel viaggio o nella meta? Perché non in entrambi? (spoiler: se viaggi con Ryanair, spero che tu abbia in piano di trarre tutto il piacere di cui hai bisogno dalla meta, perché di certo non ne troverai durante il viaggio.)

A un livello più comportamentale mi chiedo se questa estrema attenzione al nostro essere clienti non ci stia rammollendo, trasformandoci lentamente negli umani che si vedono verso la fine di Wall-E. Non abbiamo più (io in primis) nessun grado di sopportazione, la nostra pazienza sradicata dalle delivery in 1 giorno e dai download immediati sul kindle, la sopportazione del diverso indebolita dagli algoritmi dei social network che ci mostrano post sempre più simili e uguali ai nostri.

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Impegno politico, etica del lavoro, attivismo, sacrificio. You're living in the ruins as well

Come possono pensare di competere con cataloghi di film pressochè infiniti a disposizione senza sforzo, che possiamo gustarci mentre qualcuno ci cucina la cena e ce la porta fin sulla soglia di casa?

III. E quindi?

E se non ci dobbiamo più sforzare di fare le cose, sapremo comunque riconoscerne il valore? Spesso quando non sappiamo il valore di una cosa ci facciamo guidare da dei proxy, degli indicatori approssimativi: pensate a quando scegliete il vino al supermercato e guardate quanto costa perché non sapete proprio bene cosa state comprando (vi vedo che lo fate, non negatelo). Allo stesso modo, per le cose che non si possono comprare (ciao @Mastercard) lo sforzo fatto per ottenerle ci da un senso del valore: raggiungere una baita in montagna, scalare l'Everest, andare in Polinesia Francese; vero che ci sono dei bei cartellini con dei prezzi importanti su queste mete, ma pensate se si potessero raggiungere col teletrasporto: a parte che sarebbero spiagge e picchi meravigliosi pieni di persone, li apprezzeremmo ugualmente?

IV. Tagliatele la testa!

Come sempre non so bene dove portano queste domande, ne tantomeno come chiudere la newsletter, quindi vi faccio una domanda dall'alto contenuto filosofico e per nulla inquietante, anticipata da una brvee scampagnata nei i campi sempre fioriti della pignoleria.

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Dire "tagliatele la testa" riferendosi a una decapitazione credo sia altamente improprio, dato che quello che viene tagliato è il collo, la testa viene solo staccata dal corpo.

E ora la domanda: è corretto dire "staccare la testa"? Non sarebbe più corretto dire "staccategli il corpo"?

Vado a spiegare; se l'amputazione riguardasse la mano non ci sarebbero dubbi: una parte (la mano) viene staccata dal tutto (il corpo). In altre parole si potrebbe dire che c'è una parte che viene tolta e una parte che resta: resta il corpo, viene tolta la mano.

Se consideriamo il caso della decapitazione, tralasciando l'irrilevante dettaglio della conseguente mancanza di segni vitali, non avrebbe senso mantenere il corpo che sarebbe completamente inutile senza testa, la quale - invece - potrebbe continuare a pensare e funzionare anche senza corpo, come dimostrano tutte le teste dei personaggi famosi in Futurama.

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Detta in termini più umanistici, se si pensa alla cosa non da un punto di vista di volumi, ma come a un individuo a cui viene staccata una mano, allo stesso individuo non può essere staccata la testa, perché la parte pensante (e quindi l'individuo) è la testa: ne consegue che è il corpo a essere staccato dalla testa.

E ora la palla a voi amati e innumerevoli lettori

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