L'ultimo nemico che sarà sconfitto è la morte
Una frase quanto meno curiosa...
Ein
Noi maghi e streghe sappiamo bene su quale tomba è incisa questa scritta. Per chi non ha avuto la fortuna di aver camminato per i corridoi di Hogwarts, questa frase appare nel 7° libro della serie, incisa sulle tombe dei genitori di Harry. In questo momento della saga la morte è un tema centrale, a partire dal titolo (i doni della morte) al ruolo dei fratelli Peverell, protagonisti di una leggenda che raccontano come abbiano sconfitto la morte (beh solo uno dei tre tecnicamente, ma non facciamo sofismi), all'accettazione da parte di Harry della propria morte. Questa frase nello specifico è una grassa risata in faccia a Voldemort da parte di Lily Potter.
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Contesto per babbani: quando Voldemort decide di uccidere Harry neonato, James e Lily si sacrificano cercando di salvarlo, pur sapendo di non poter nulla contro il più potente mago oscuro della storia; queso sacrificio, in particolare quello di Lily che si interpone tra il signore oscuro e quel demente incapace di Harry Potter* è quello che proteggerà poi Harry negli anni a venire, uno scudo di amore materno che impedisce a Voldemort anche solo di toccare il quattrocchi più inutile ad aver mai calpestato le pietre di Hogwarts.
*Harry Potter è il personaggio più inutile della saga: un presuntuoso inutile ragazzino che da solo sarebbe morto a pagina 2. L'unica cosa buona che fa è decidere di morire. Grazie, ciao.
Voldemort è un cattivo di quelli veri: non è Nelson dei Simpson che sotto sotto è un buono, non è Harley Quinn che è impazzita d'amore per il Joker, non è Theon Greyjoy che è un idiota sbadierato al vento che trova la redenzione alla fine di un cammino di torture e tradimenti, non è Loki che alla fine è solo geloso del fratello. Voldemort è Scar che uccide suo fratello, è Ursula che ruba la voce ad Ariel, è Sauron, è Darth Vader, è colui che porta morte, che ride lanciando l'anatema che uccide, è la personificazione della morte stessa.
La sconfitta non è ovviamente da parte di un individuo qualunque, ma di una madre (e un di padre se proprio dobbiamo considerare anche quel maiale di James Potter). Lili fa un gigantesco dito medio a Voldemort: "visto troietta? Tu mi hai ucciso ma non hai ucciso Harry, io l'ho salvato e ti ho sconfitto", alludendo a un sopravvivenza che non è dell'individuo ma generazionale, di una madre che sopravvive nel figlio.
La frase in questione non è però farina del sacco di JKR, ma arriva da un altro bestseller. La frase viene scritta nella lettera ai Corinzi (1 Corinzi 15, 26), in cui Paolo annuncia agli abitanti di Corinto che "24 Poi verrà la fine, quando [Cristo] rimetterà il regno nelle mani di Dio Padre, dopo aver annientato ogni dominio, ogni potestà e potenza. 25 Bisogna infatti che egli regni, finché non abbia messo tutti i nemici sotto i suoi piedi. 26 L'ultimo nemico che sarà distrutto è la morte".
Il parallelismo che viene fatto da JKR è quindi tra Harry Potter e Gesù e con questa chiave interpretativa è evidente come HP/Gesù accetta di andare in contro alla propria morte per la salvezza dei suoi amici/figli di Dio, resuscita per poi sconfiggere la morte nella persona di Voldemort/Satana. A questo punto direi che Hermione è lo spirito santo, che senza quello Potter manco sa mettersi le scarpe.
Zwei
Oltre all'aspetto letterario e biblico, questa frase sottende dei concetti molto interessanti.
Personificazione
La personificazione della morte non è certo una novità, avendo assunto nei secoli le forme più disparate fino alla più recente figura dello scheletro con la falce. La figura retorica della personificazione porta sul piano umano concetti e forze altrimenti inafferrabili, tantomeno gestitibili: si pensi alle religioni animiste o ai pantheon greci, egizi, romani che attribuivano scranni divini alle varie forze naturali nella vana speranza di poterle influenzare con offerte e riti.
Inimicizia
"Il tempo non esiste, esisono gli orologi"
Il fatto che gli orologi esistano per misurare il tempo non dimostra in alcun modo l'esistenza del tempo come entità a se stante: è il modo in cui noi percepiamo l'universo e lo scorrere della vita nel suo susseguirsi di momenti, quindi legato al nostro percepito ed alla nostra esistenza (provate a dare una definizione soddisfacente di tempo che non sia legata all'esistenza, se riuscite - non vale usare definizioni ricorsive che definiscono il tempo come quella cosa misurata dagli orologi).
Allo stesso modo la morte non è definibile in quanto tale, ma solo in quanto cessazione dell'esistenza, un passaggio di stato da vita a non-vita, l'ombra definita in quanto mancanza di luce. Vista in questi termini è difficile pensare che la morte sia un'entità a se stante; ma anche assumendo che lo sia, è evidenza di un antropocentrismo quanto meno patologico pensare che l'entità che ha il potere di decidere della vita di ogni essere vivente decida di innalzarci a suo nemico.
Si potrebbe dire lo stesso dell'amore, come canta John Mayer: l'amore non è una cosa, l'amore è un verbo.
Sconfitta
Questa più che un'implicazione è un controsenso che mi porto dentro che ho memoria.
Prendiamola da lontano: se commettessi un reato e fossi arrestato e condannato, verrei punito col carcere (o simili), ovvero in una situazione punitiva peggiore di quella di partenza; se riuscissi a non essere condannato - e quindi a non subire la punizione per il mio crimine - potrei dire di aver sconfitto il sistema. Ma se il carcere fosse, al contrario, un posto migliore della situazione iniziale, non sarebbe punitivo e non ci sarebbe sistema da sconfiggere.
Riprendiamo l'esempio di Cristo che sconfigge la morte: secondo la dottrina cristiana il paradiso è - per definizione - un posto migliore di quello di partenza. Ha quindi senso voler sconfiggere "l'entità" che permette l'ascensione ad un posto migliore? "HA! Gliel'ho fatta vedere a quello stronzo del mio capo che voleva darmi un aumento e una promozione! Mi sono tenuto il mio lavoro infimo e sottopagato cosi impara!"
Corollario di questo controsenso (e genesi della mia osservazione) è l'approccio di perdita che permea la celebrazione del lutto e della morte. Se una persona amata è passata a miglior vita, se è entrata nel regno dei cieli, se è con Dio, perchè ce ne rattristiamo? Mi rendo conto che è un ragionamento estremamente freddo e razionale che non può reggere davanti al confronto col nostro essere finiti e mortali, ma tant'è... son pursempre un corvonero. #corvoneroefiero
La verità, tutta la verità e nient'altro che la verità è che i riti funebri hanno radici ben più profonde del cristianesimo e - dal mio punto di vista - il protagonista non è neanche lontanamente chi è dentro alla bara, bensì chi ne è fuori. Presenziare ai funerali, ricordare i defunti, elogiarne le imprese, condividere i momenti passati insieme è un conforto immediato per chi assiste e partecipa, un rivivere quello che è stato e - soprattutto - un antidoto al nostro senso di mortalità che è insito in ogni istante in cui guardiamo una bara e in ogni passo che muoviamo in un cimitero.
La celebrazione della vita di chi l'ha appena persa è un rito presente in tutte le culture, che si evolve e assume nuove forme ma che nessuno mette in discussione. É un prendersi cura di chi c'è stato che ci rassicura, perché ci dice che qualcuno si prenderà cura di noi, che ci ricorderà, che lasceremo un segno, che saremo riusciti a sconfiggere la morte e l'oblio che ne consegue.
(Disclaimer: sono parole di uno che è fortemente convinto della veridicità dell'egoismo psicologico, ma di questo ne parliamo un'altra volta che già si sta facendo lunga la cosa qui.)
Drei
La paura è un'emozione ancestrale, estramamente utile da un punto di vista evoluzionistico: ci protegge da situazioni che riteniamo pericolose, preserva i più cauti e spinge i più avventurosi che riescono a domarla e ad usarla a proprio vantaggio.
Allo stesso modo si può "domare" la morte e ottenere benefici sfruttandone le implicazioni.
Memento Mori I
Memento Mori è proprio quella roba li: ricordati che devi morire. Marco Aurelio lo dice un po' meglio nelle sue meditazioni.
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Potresti lasciare la vita adesso. Lascia che sia questo a determinare ciò che fai, dici e pensi.
Su una scala meno esistenziale si può applicare lo stesso concetto alla malattia e agli acciacchi. Personalmente mi capita spesso quando ho un'emicrania, un mal di denti o simili pensare "chissà come sarà bello quando mi passerà". Poi quando mi passa non ci penso manco col cazzo e ciao core. É abbastanza naturale non pensarci quando si sta bene e tendenzialmente non succede nulla se non pensiamo tutti i giorni "toh va che bello che oggi non ho l'otite", ma è un modo come un altro di apprezzare il fatto di stare bene.
Memento Mori II
Questo stesso esercizio - una volta superato l'aspetto macabro - si può fare anche sugli altri. Immaginate che i vostri cari e i vostri amici siano morti: cosa direste ai loro funerali? Quali sono le cose che vi mancherebbero di più? Cosa e quanto aggiungono alla vostra vita? Apprezzate queste cose ora che ci sono.
Pre Mortem I
É un esercizio che si consiglia di fare quando si stanno devono prendere delle decisioni o iniziare un progetto, soprattutto nel mondo del management, ma si può applicare un po' a tutto.
Pre-mortem è letteralmente "immaginare la morte": qual è lo scenario peggiore che può succedere? Il nostro progetto è fallito miseramente: perchè? Cosa ne ha causato il fallimento? Partendo dalla morte del progetto si retrocede per capire possibili falle e pericoli in modo da anticiparli.
Pre Mortem II
Nel mondo dell'auto-aiuto è anche utile immaginare lo scenario peggiore per dare una dimensione reale delle nostre ansie di fallimento: qual è la cosa peggiore che può succedere? É cosi grave da impedirmi di agire o posso correre il rischio? Dare una dimensione massima aiuta a valutare il rischio e decidere se ne vale la pena.
Post Mortem
Stessa cosa, che si fa in Pre Mortem (I) ma a cose fatte: un passaggio strutturato in cui si cerca di capire cos'è andato storto e quali insegnamenti se ne possono trarre.
Pensare alla morte non è mai divertente e viviamo in una cultura in cui è sempre più considerata un tabu. In questi ultimi due anni abbiamo vissuto due fenomeni opposti: da un lato vivere una pandemia che ha ucciso centinaia di migliaia di persone, nel mondo e vicino a noi; dall'altro vedere queste morti ridotte a un contatore come se fossero punti di un gioco. Oggi +457, ieri +315.
Dopo questa esposizione massiva all'argomento è naturale non volerci pensare; tuttavia, allontanarci dal concetto di morte non può minimamente sottrarci all'inevitabile aspetto negativo, ma può impedirci di trarre quel poco di buono che ne può venire.
Sono andato molto più per le lunghe del previsto, ciao gambi di sedano.
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