Uova e galline
Impariamo a percepire il mondo come una serie di azioni che si susseguono perchè ne parliamo con un sistema che è fatto di parole che si susseguono?
Sto per ripetermi citando un film di cui vi ho gia parlato, più precisamente di una parte di un film di cui vi ho gia parlato, ma voi portate pazienza; d'altra parte siete gli alpha tester di un prodotto che non si sa bene ancora che forma debba avere: pagando lo scotto di dover sopportare un po' di magagne, ripetizioni e magagne qua e la (l'avete capita?) avete un posto in prima fila per vedere lo sviluppo di qualcosa di nuovo, come si evolve e dove arriva (senza considerare che - nella remota possibilità in cui questa cosa guadagni poi anche una minima importanza - potrete dire "io c'ero dall'inizio inizio, quando eravamo quattro gatti che si erano iscritti per pietà" e dare quell'incredibile iniezione al vostro ego che solo il poter dire di esser stati li prima degli altri può dare).
Lingue aliene e premonizioni
**Spoiler alert** [ebbasta dai, ha 50 anni sto film, chi lo doveva vedere l'ha visto]
Arrival (Villeneuve, 2016) costruisce lo sviluppo della trama su un'applicazione in chiave fantascientifica della forma più estrema dell'ipotesi di Sapir-Whorf. Pian piano ora ci arriviamo.
Questi due linguisti hanno teorizzato questo principio della relatività linguistica secondo cui la lingua che viene parlata da una persona ne influenza lo sviluppo cognitivo, se non addirittura - nella sua concezione più estrema, appunto - il modo di pensare.
In Arrival questa ipotesi viene vissuta dalla protagonista che apprende un lingua aliena palindroma, che per sua natura è composta da frasi che non hanno un inizio o una fine, ma sono dei cerchi con archetti e sbavature che vengono scritti tutti nello stesso momento.
Il fatto che non abbia un inizio comporta che chi scrive conosca già la frase nella sua interezza, a differenza di come siamo abituati a scrivere noi che partiamo da un concetto che vogliamo esprimere e costruiamo poi la frase parola dopo parola per trasmetterlo al meglio (su questo ci torniamo poi), potenzialmente cambiando la forma della frase a metà, le parole usate, verbi, subordinate e compagnia cantante.
Non avendo le frasi di questa scrittura un inizio e una fine, è possibile leggerle in entrambe le direzioni (orario o antiorario, da cui lingua palindroma); quando la protagonista interiorizza la lingua e impara fondamentalmente a scriverla (è una lingua non parlabile, il suono ha una dimensione che è sequenziale per natura, una frase non può essere ridotta a un singolo suono puntuale) inizia a percepire la realtà in maniera diversa, conosce la sua vita nella sua interezza, non dovendola vivere partendo dall'inizio e andando verso la fine, ma la può percorrere nella sua dimensione temporale circolare.
Cinematograficamente questo viene rappresentato con delle scene che sembrano essere nel passato della protagonista, ma che si scoprono essere poi nel suo futuro, che lei sceglie di percorrere nonostante sappia bene dove porti (non porta in un bel posto, diciamo).
Qui si potrebbe aprire una discussione infinita sul libero arbitrio e la prevedibilità o meno del futuro come sua conseguenza: o esiste il libero arbitrio e noi possiamo scegliere il nostro futuro rendendolo imprevedibile, o il futuro è completamente prevedibile e il libero arbitrio è solo una nostra percezione, con tutte le opzioni che stanno nel mezzo di questi due estremi, di futuri multipli tutti prevedibili ognuno con il suo grado di probabilità di realizzarsi in base alle scelte fatte dagli individui con libero arbitrio. Ma non divaghiamo [meno male che non volevi divagare, manco mi ricordo come mi chiamo ora]
Significato e significante
[con Cavalcante de' Cavalcanti e tutti i santi]
"Voces significant res mediantibus conceptis" è un concetto base della semiotica, che racchiude i tre poli del triangolo semiotico come inteso da Saussure: il significato, il significante e il referente. [Lapalissian, un greco.... della Grecia]
Senza complicare inutilmente le cose, il significato è ciò che si vuole trasmettere, il significante è l'insieme di simboli e suoni che lo trasmettono, ovver la parte tangibile della comunicazione, e il referente è l'oggetto di cui si parla (che non si capisce perchè refer-ente e non rifer-ito, visto che subisce e non agisce, ma non facciamo dei sofismi sterili). Quindi nella frase in latino sopra, si dice che vox (il significante, le parole) parlano del res (il referente) tramite il conceptis (il significato).
Per tornare al conceptis di prima, quando noi vogliamo parlare di qualcosa (referente) e vogliamo trasmettere un concetto (significato) dobbiamo utilizzare un mezzo per esprimerlo (significante). Ad ora, ad esempio, io sto usando la scrittura, con parole e frasi, ma potrei fare un podcast e usare la voce parlata, il suono, come significante.
Tutto questo lungo giro è per introdurre questo: la scrittura non ha minimamente senso.
Le parole che usiamo non hanno nessun tipo di legame con i concetti che vogliamo trasmettere. Non ci assomigliano per forma, non ne richiamano i suoni (ad esclusione delle parole onomatopeiche) e il loro significato è puramente un costrutto umano. Non esiste nessun motivo per cui un tavolo in italiano venga rappresentato da quelle sei lettere (motivo per cui ci sono migliaia e migliaia di lingue nel mondo: ognuno fa un po' il cazzo che vuole).
Di conseguenza, ha ancora meno senso il fatto che da qualche millennio a questa parte lo strumento principe per la trasmissione della conoscenza sia la scrittura, racchiusa in milioni di libri o su internet. Gli esseri umani si spaccano la testa cercando le parole da mettere insieme come piccoli mattoncini per esprimere concetti che non hanno nessuna rappresentazione diretta con quelle stesse parole, e creando neologismi quando di parole giuste non ne esistono.
(anche) Questo è il motivo per cui gli scrittori - quelli veri, non quelli del weekend come me - sono alla fine ben pochi, il motivo per cui esiste il lavoro di copywriter, quelle persone che sono (in teoria) brave a trovare le parole migliori per trasmetter il concetto giusto all'audience giusta, e il motivo per cui è il dono della sintesi ad essere considerato una virtù e non l'essere prolissi: essere in grado di esprimere un concetto nella sua interezza usando il minimo indispensabile di quello strumento limitato che sono le parole. Usare le parole è difficile proprio perchè sono uno strumento imperfetto.
Eppure, non abbiamo molte alternative se non le parole: sono il "meno peggio" (per mancanza di una parola migliore, ehm ehm...)
Le pitture rupestri non usavano parole, ma disegni: rappresentazioni grafiche e semplicistiche della realtà, un significante che per quanto avesse una correlazione diretta con l'oggetto della comunicazione (se voglio parlare del bufalo disegno il bufalo), faticava a trasmettere appieno il significato (omino con arco + bufalo = caccia, ma caccia andata male? caccia andata bene? cacciamo oggi o cacciamo domani? E Cacciari quando caccia?); non hanno movimento, non hanno rapporti di causa, sono soggetti a interpretazione. Con le parole abbiamo oltrepassato il legame di somiglianza tra simbolo e oggetto per favorire una miglior trasmissione del significato attraverso un significante artificiale costruito ad hoc.
Ad hoc: pensate ai tedeschi che hanno parole assurde per esprimere concetti molto di nicchia o a quella mezza leggenda metropolitana per cui gli inuit hanno 50 parole diverse per descrivere la neve. A chi vive nei paesi dove la neve è la costante, serve esprimere più concetti che la coinvolgono, quindi si creano più parole per esprimerli al meglio e differenziarli.
E poi c'è la poesia.
La poesia arriva e fa un po' il cazzo che vuole, rigira le parole e trasmette significati completamente diversi semplicemente per associazioni strane o inusuali, o tramite i suoni delle parole invece che i significati, e ovviamente poi si creano altre parole per descriverne gli usi: metafore, sinonimi, allitterazioni, rime, anafora, inversione, asindeto e polisindeto, allegorie, e poi un termine che racchiude tutte queste parole, queste figure retoriche, sia mai che l'essere umano lasci qualcosa di non classificato, un significato non trasmissibile.
Eppure, tutto questo non spiega perchè siamo arrivati ad usare questo sistema. Non mi riferisco alla parola in sè per dire tavolo, che ogni paese chiama a modo suo proprio perchè è un artificio, ma al sistema vero e proprio di parole (e poi di scrittura). Abbiamo creato un codice per codificare i nostri suoni gutturali da cavernicoli? É la naturale e unica conseguenza possibile del funzionamento del nostro cervello che ragiona per sequenze temporali, conseguenze e storie? Della nostra percezione del tempo che scorre invece di essere una dimensione percorribile? O questa nostra struttura di comunicazione è in essere da cosi tanto tempo che l'abbiamo ormai interiorizzata come parte dell'ambiente in cui nasciamo e cresciamo e ha quindi diretta influenza sul nostro sviluppo cognitivo? Impariamo a percepire il mondo come una serie di azioni che si susseguono perchè ne parliamo con un sistema che è fatto di parole che si susseguono? Ci struggiamo cercando cause e spiegazioni logiche anche dove non ci sono perchè una frase senza legami di senso non trasmette nessun significato?
Non so se ho trovato le parole giuste per esprimere il concetto dietro a questo mio dubbio amletico, ma l'altro giorno stavo leggendo un libro sul kindle e mi ha sorpreso quanto si sia evoluta la tecnologia che supporta la scrittura - passando dalle tavole di argilla, ai frati amanuensi, a Gutemberg, a un dispositivo che usa particelle colorate per ricreare parole su uno schermo elettronico, ai pixel, ai LED - mentre la scrittura in sè è rimasta bene o male la stessa. Cambiano le parole, le strutture delle frasi, i significati delle parole stesse, ma non il concetto di base di parola, al punto che mi sono chiesto se fosse davvero un artificio che ci ha ormai permeati o la naturale evoluzione del nostro modo di esprimerci.
Con le emoji, poi, stiamo chiudendo il cerchio: si torna al simbolo delle pitture rupestri che non si capisce un cazzo di cosa vogliano dire e si creano degli equivoci fantozziani.
Arrival comunque è davvero un bel film, guardatelo. É la seconda volta che ve lo consiglio e non voglio arrivare a consigliarvelo una terza perchè finisce che devo scrivere un libro.
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